2.2.13 - Il Giornale d'Italia
Segnatura: Sub-fondo Navi di Nemi, b. 1, fasc. 2: Cartella con lettere, disegni, etc. (Guido Ucelli) 1929-1941, sf. B.2, c. 13
Tipologia: unità documentaria
Titolo: Il Giornale d’Italia
Estremi cronologici: 1931 marzo 17
Contenuto: Ritaglio de “Il Giornale d’Italia” relativo all’articolo di G.C. Speziale dal titolo “I romani precursori della tecnica navale nei commenti inglesi alle scoperte di Nemi”.
Regesto: L’articolo tratta del ritrovamento delle ancore Nemorensi e del paragone con le ancore britanniche del capitano Rodger; le ancore Nemorensi precorrevano quelle inventate nel 1852 dal suddetto capitano.
Trascrizione:
“I romani precursori della tecnica navale nei commenti inglesi alle scoperte di Nemi
Al primo lord dell’Ammiragliato Alexander che giorni sono ripartiva da Roma dopo aver concluso l’accordo navale, l’ammiraglio Sirianni ha voluto donare due riproduzioni fedeli e perfette, due modelli in iscala, delle ancore trovate a Nemi.
Atto gentile, graditissimo e pieno di significati, come han rilevato i giornali nostri, come va rilevando ora qualche giornale inglese.
Se ne vogliono trovare, di significati, persino nella forma del dono visto, che, fra i più comuni simboli, anche fra quelli dei ciondoli portafortuna, l’ancora sta come segno di speranza. Certo a collegarla così, idealmente, alle nostre innegabili buone intenzioni ed alla grande importanza dell’atto politico ora concluso, c’è da pigliarlo come un augurio ed una fede in quella Conferenza del disarmo che avremo l’anno venturo.
Così, press’a poco, scrive il Birmingham Post del 3 corr., e siamo lietissimi di questa reciprocità di buoni propositi, di quest’aura di idillica pace che sentiamo spirare in giro. Ma quel dono, fatto dal Ministro della Marina italiana, al Capo di tutti i marinari d’Inghilterra, aveva anche altre ragioni d’essere: egualmente ideali ma spiccatamente marinare. Sarà il caso di ricordare che la grande ancora di ferro tirata su dal fondo del lago di Nemi nel luglio scorso ha una sua particolare importanza nella storia della nave e della navigazione?
Venti secoli innanzi Rodger
Testimonianza diretta di una perfezione tecnica, di una conoscenza ed esperienza navale che nessuno pensava i Romani avessero potuto raggiungere, quell’àncora è assolutamente identica, pei concetti costruttivi, e quindi per la pratica marinaresca che ne ha consigliato la forma, ad un tipo moderno, ben noto ai marinai, e che in tutto il mondo si chiama ancora ammiragliato.
Poiché l’Ammiragliato inglese, prendendo il brevetto di un suo ufficiale, Captain Rodger, che aveva, studiato tale tipo di àncora, diverso da quelli usati fino allora, ordinò che l’attrezzo navale di nuova foggia divenisse regolamentare ed unico ad essere usato sulle navi di sua Maestà Britannica.
Ciò avveniva nel 1852 e da allora quell’àncora ha avuto fortuna. Per gli innegabili vantaggi che offriva, la adottarono pian piano le navi di tutte le bandiere ma il nome d’origine le rimase per omaggio a quel popolo di marinai che per larga, conoscenza e consuetudine di vita di bordo aveva saputo perfezionarne la forma.
Ritrovarne a Nemi un identico tipo, che risale al massimo al 41 d.C., ha causato un certo stupore tra i marinai e gli studiosi.
I Romani, dunque, avevano già una tale esperienza nautica, una tale pratica della navigazione e della vita di mare, da essere giunti agli stessi perfezionamenti tecnici ai quali sono giunti gli Inglesi ottantadue anni or sono. L’àncora ammiragliato era già usata mille ottocento dieci anni prima che Captain Rodger la ideasse.
Tutto ciò, naturalmente, non toglie nessun merito all’inventore ma molti ne aggiunge, e per una materia di cui pochissimo si sa, a Roma.
Il Birmingham Post, infatti, rileva il valore di sì impensata documentazione di priorità e con bella franchezza riconosce, letteralmente, che: «Per i marinai le ancore del lago di Nemi hanno un interesse particolare. La colossale impresa per il recupero delle galere di Nerone, mediante l’abbassamento del livello del lago di Nemi, lasciò in generale delusi gli archeologi. L’impresa non risolse la contestata questione circa la disposizione dei remi nelle trireme romane, ma le ancore drammaticamente, vennero ad accusare la loro preesistenza di circa 2000 anni prima. Esse sono effettivamente dello stesso tipo dell’àncora costruita dal Captain Rodger R. N., che fu esposta come una novità nella grande Esposizione del 1851.
Nessuna prova più sorprendente potrebbe risultare dalla realtà dell’«era oscura» che seguì alla caduta dell’Impero Romano. Tanto nel Medio Evo che nel Rinascimento e nell’epoca dell’espansione europea sui mari, le navi erano provviste di àncore riprodotte da tipi barbarici che differivano solo nella grandezza, dalle àncore preistoriche che ancora si trovano talvolta lungo la costa del Wessex.
I Romani non erano navigatori per natura. Essi introdussero con la tradizionale forma dell’ancora i risultati di coscienti studi ed esperimenti.
Quando l’Ammiragliato Britannico, cercando uno strumento che potesse servire ad ormeggiare una corazzata, si valse della tradizione e dell’esperienza, arrivò, come, primo risultato, all’àncora di Rodger, la quale è simile, nel principio, alle àncore ricuperate l’anno scorso dal lago di Nemi.»
Veramente, tanto per l’esattezza, Nerone non c’entra; le navi erano di Caio Augusto Germanico, detto Caligola. Siamo però ben lieti di leggere sì esplicite dichiarazioni ed appunto perché il giornale inglese si interessa alla nostra impresa, e largamente se ne interessa il pubblico colto di tutto il mondo, crediamo sia necessario aggiungere qualche altra notizia che gioverà forse a chiarire meglio la situazione. Gli accertamenti scientifici sono lunghi e laboriosi ma stanno dando materiale e testimonianze inattese. Ripulita la nave e sistematala su selle e taccate, si è potuto misurar la carena, rilevare i garbi delle ossature, e si sta procedendo ora allo studio dello scafo. Un’opera di ricostruzione architettonica vera e propria, sulla carta naturalmente, sui disegni, come se ne compiono di continuo nell’archeologia monumentale che, una volta accertati gli elementi della costruzione ed i pezzi superstiti in loco, traccia le piante e delinea e definisce la forma che aveva un certo tempio solo che si sian trovate poche cornici del frontone, qualche colonna intera e si sian potuti disseppellire i basamenti del peristilio e quelli dei muri perimetrali.
Così è nel caso nostro.
Sul pezzo di chiglia superstite si vanno sviluppando ora i fianchi nelle zone mancanti. E non su fantastiche linee ma su quelle matematicamente accertate in rigorosa continuità delle ossature a posto. Le carene han sempre superfici armoniche, vincolate a leggi di proporzione e simmetria e la opera di ricostruzione viene facilitata perciò dagli elementi diversamente conservatici sui due lati, dagli altri rinvenuti in frammenti e che si vanno adattando sul disegno in iscala. Così come, ritrovata la forma esatta di un vaso raccolto in frantumi, si ricollocano con facilità, al loro posto originario, le scheggie superstiti. È avvenuto, anzi, in questa ricostruzione, che in un vano rimasto libero, fra altri pezzi di cui si aveva già la sede precisa, non si capiva cosa ci potesse essere perché nulla si era rinvenuto che avesse un contorno tanto caratteristico. Ma quando si è cercato tra gli oggetti ricuperati nel 1895 dal Borghi s’è trovato infatti che due frammenti, di quelli conservati ora al Museo nazionale romano, sono proprio la parte mancante a quella zona.
La seconda nave
Accertata e definita la forma dello scafo se ne deducono le dimensioni; da queste i dati tecnici, dislocamento, immersione, resistenza del complesso, tormenti e carichi delle varie strutture. Si risale così, nel processo creativo originale, e si ritrovano i cànoni, le leggi meccaniche e costruttive, la parte veramente geniale e inventiva di quest’opera perfetta di ingegneria.
L’importanza grandissima della documentazione che si va raccogliendo è ben nota, intanto, nel campo degli studi. Quest’anno, in novembre, al congresso annuale della Schiffbau-teckniche Geselleschaft a Berlino, due degli ufficiali di marina che seguono l’impressa ed attendono agli studi ed alla ricostruzione, appositamente invitati, esporranno gli accertamenti già compiuti, nel campo puramente tecnico, sulla carena della prima nave trovata a Nemi. Materiale già copioso al quale si aggiungeranno poi i confronti e le amplificazioni che si potran fare sulla seconda nave. Ancor nulla se ne conosce ed essa invece, probabilmente ci potrà dare ben diversi dati e potrà mostrare nuovi lati del problema. Di quelli che oggi non si possono intravvedere sul primo scafo che manca di tante parti, che ha tanto sofferto nei ripetuti tentativi di ricupero fatti nell’antichità.
Nell’autunno, probabilmente sapremo qualcosa della seconda nave.
Si stanno sostituendo in questi giorni le pompe che prosciugano il lago con altre tre più potenti e di maggior portata, che l’ing. Ucelli, l’entusiasta mecenate dell’impresa, ha voluto offrire in nome della Ditta Riva, per facilitare ed affrettare le operazioni di svaso.
Avremo così, fra qualche mese, la possibilità di seguire le gomene già scavate nell’ottobre scorso e che non abbiam potuto vedere dove finissero, perché si andava nella zona non ancora prosciugata. Avremo allora la possibilità di scavare almeno intorno alla falchetta della seconda nave e, con molta probabilità, potremo apportare qualche preciso dato di fatto nella contestata questione degli ordini di remi nelle navi antiche.
Siamo lieti di assicurare il Birmingham Post, che segue specialmente questi lati della ricerca, lati tipicamente marinari e di grande interesse per un popolo di marinai qual è l’inglese, che l’impresa è tuttora in atto, che il lavoro di accertamento viene eseguito con tutti i controlli scientifici e nei più vari campi degli studi.
L’esame microscopico delle fibre delle corde e delle gomene ha rivelato che i Romani avevan trovato il mezzo per conciare e torcere in funi, flessibili e galleggianti sull’acqua, quelle alghe di sparto, cosi abbondanti nella Sirte, e che noi usiamo ora solo per la pasta di carta.
L’analisi chimica delle paste vitree dei mosaici di pavimento a bordo, ha rivelato l’uso del cobalto, che si credeva ignoto all’antichità. Ma l’attento studio della nave vera e propria sta dimostrando quanti dei più ardui problemi che l’ingegneria navale moderna deve risolvere fossero già stati studiati ed acutamente e genialmente superati dai fabri navales di Roma.
G.C. SPEZIALE“
Consistenza: c. 1
Busta: 1
Fascicolo: 1
Tipologia fisica: foglio
Supporto: carta
Descrizione estrinseca: Ritaglio di giornale a stampa; mm 380x190. Nel margine inferiore, a matita: Giorn. d’Italia 17 marzo 31.
Stato di conservazione: buono