Le guerre germaniche di Marco Aurelio nel fregio della Colonna Antonina

Il racconto di Cassio Dione (Storia romana, LXXI, riassunto di Xiphilinus)

da F. Coarelli, La Colonna di Marco Aurelio, Roma, ed. Colombo, 2008

La colonna di Marco Aurelio in una fotografia Alinari dei primi anni del '900 (Fototeca INASA, Fondo Lugli, inv. 74325)

Fregio della colonna di Marco Aurelio, scena XXXII: Marco Aurelio assiste con due ufficiali - uno dei quali identificato con Pertinace - alla partenza dell'esercito.

Fregio della colonna di Marco Aurelio, scena XVI: particolare del Miracolo della pioggia

Fregio della colonna di Marco Aurelio, scena XVI: particolare del Miracolo della pioggia

36: scena XI, spira 3, rocchio III

Fregio della colonna di Marco Aurelio, scena XIa: il miracolo del fulmine

Ritratto di Marco Aurelio a cavallo nella piazza del Campidoglio a Roma (Fototeca INASA, inv. 28331)

Ritratto di Marco Aurelio a cavallo conservato nei Musei Capitolini (foto: Musei Capitolini)

Ritratto di Commodo fanciullo conservato nei Musei Capitolini (Fototeca INASA, inv. 36966)

3. Nel frattempo, Marco assegnò ad Avidio Cassio il governo di tutta l'Asia. Lui stesso fece guerra ai barbari che abitano lungo l'Istro (Danubio), lazigi e Marcomanni, ora agli uni, ora agli altri, per lungo tempo o, più esattamente, per tutta la vita, utilizzando come base la Pannonia. Numerosi Celti che abitano al di là del Reno si spinsero fino all'Italia, e provocarono molti problemi ai Romani: marciando contro di loro, Marco gli oppose come luogotenenti Pompeiano e Pertinace. Quest'ultimo, che in seguito divenne imperatore, si coprì di gloria.
Fra gli uccisi dalla parte dei barbari si trovarono anche i cadaveri di donne armate. Benché lo scontro fosse stato violento e la vittoria splendida, l'imperatore non concesse il denaro richiesto dai soldati, ma disse loro che " tutto quello che riceverete oltre il premio abituale sarà sangue cavato ai vostri genitori e ai vostri parenti; per quanto riguarda l'impero, solo dio potrebbe decidere". Così saggiamente ed energicamente esercitava il comando su di loro, che nonostante il numero e la gravità delle guerre da lui combattute, non disse mai nulla per adulazione, nulla fece per paura fuori della norma.
Dopo che i Marcomanni avevano vinto una battaglia e ucciso Macrinus Vindex, prefetto del pretorio, gli eresse tre statue e, dopo che a sua volta li ebbe vinti, venne chiamato Germanico: vengono infatti chiamati Germani coloro che abitano nel territorio più settentrionale.


5. Nella guerra di Marco contro i Germani (dal momento che anche questo è degno di memoria), un giovane prigioniero da lui interrogato rispose: "Non sono in grado di risponderti per il freddo; dunque, se vuoi sapere qualcosa, ordina di darmi una veste, se ne hai". Un soldato che di notte montava la guardia lungo l'Istro, avendo udito sull'altra riva le grida dei soldati prigionieri, si tuffò e nuotò nello stato in cui si trovava, e tornò indietro dopo averli liberati.


6. Quanto all'imperatore, ogni volta che la guerra gli lasciava tempo libero, rendeva giustizia e lasciava agli oratori molto tempo per parlare, e prolungava inchieste e esami, in modo che fosse resa giustizia nel modo più esatto e completo. Così spesso trascorreva anche undici e dodici giorni prima di dare il giudizio, restando talvolta sveglio anche di notte. Era infatti amante del lavoro e si impegnava con rigore in tutti i doveri richiesti dal potere: non diceva, non scriveva, non faceva nulla in modo ripetitivo, ma talvolta consumava intere giornate in affari minimi, ritenendo che l'imperatore non debba far nulla in fretta, e che la minima negligenza sarebbe bastata a far ricadere il biasimo su tutto il resto del suo operato. Eppure era così debole di salute, che all'inizio non poteva sopportare il freddo, e che prima di arringare le truppe, già schierate per suo ordine, si appartava, e inghiottiva un po' di cibo, sempre di notte: infatti di giorno prendeva solo la medicina chiamata " theriaca", non per timore di qualcosa, ma per debolezza di stomaco e di petto: si diceva che questo rimedio gli permettesse di resistere anche alle altre malattie, oltre che a questa debolezza.


7. I Romani vinsero allora gli Iazigi per terra, e in seguito anche sul fiume. Non voglio dire che vi fu una vera e propria battaglia navale, ma che, avendo inseguito coloro che fuggivano sull'Istro ghiacciato, si scontrarono con essi come sulla terraferma. Infatti gli Iazigi, accortisi dell'inseguimento, fecero fronte contro gli inseguitori, ritenendo che facilmente avrebbero avuto ragione di uomini che non erano abituati al ghiaccio. Una parte di loro si avventò contro i Romani di fronte, mentre i cavalieri li attaccavano sui fianchi: i loro cavalli infatti erano allenati a correre con sicurezza sul ghiaccio. Accortisi di ciò i Romani non si spaventarono, ma raggruppandosi fecero fronte tutti insieme contro gli aggressori e appoggiarono quasi tutti gli scudi a terra, poggiando un piede su di essi, per scivolare di meno: così subirono lo scontro degli attaccanti. Alcuni afferrando le briglie, alcuni gli scudi, altri le lance, li trassero verso di sé e li impegnarono corpo a corpo, rovesciando uomini e cavalli, così che essi, trascinati a forza, non potevano evitare di scivolare. Anche i Romani scivolavano, ma ognuno di essi, cadendo supino, trascinava con sé l'avversario, e lo rovesciava sulla schiena con i piedi, come nella lotta, e veniva così a trovarsi al di sopra. Quando invece cadeva bocconi, poteva afferrare l' avversario caduto anch'esso bocconi. I barbari, non allenati a tal genere di combattimento, e armati alla leggera, non furono in grado di resistere, e solo pochi di essi riuscirono a scampare.


8. Marco dunque sottomise i Marcomanni e gli Iazigi con molte e grandi battaglie e correndo molti pericoli. Sostenne anche una grande guerra contro il popolo chiamato dei Quadi, e ottenne una vittoria insperata, o piuttosto questa gli fu donata da un dio. Fu infatti un intervento divino che salvò contro ogni attesa i Romani in una battaglia in cui si trovarono in grande pericolo. Circondati dai Quadi in una posizione sfavorevole, i Romani si difendevano coraggiosamente accostando gli scudi: i barbari allora interruppero il combattimento, ritenendo che facilmente ne avrebbero avuto ragione per il caldo e per la sete. Occuparono tutto il terreno circostante e vi si fortificarono, perché non potessero accedere in nessun luogo all'acqua: erano infatti di gran lunga più numerosi. Ora, mentre i Romani si trovavano allo stremo per la fatica, le ferite, il sole e la sete, e non erano in grado di combattere né di ritirarsi, ma potevano solo tenere lo schieramento e la posizione, bruciati dal calore, all'improvviso apparve una fitta nuvolaglia e si scatenò una pioggia violenta, certo per volontà divina. Si narra che Harnouphis, un mago egiziano al seguito di Marco, abbia invocato con magie alcune entità divine, e in particolare Hermes Aerios, provocando la pioggia mediante il loro intervento.


9. [Commento di Xifilino: Questo narra Dione su tali avvenimenti; ma sembra che si sbagli, volontariamente o involontariamente. Io credo però volontariamente. E come potrebbe essere altrimenti? Non ignorava infatti l' esistenza di una legione chiamata Fulminata (che ricorda lui stesso nelle lista delle altre), nome che non le fu attribuito per una ragione diversa (non se ne cita nessun'altra infatti) se non per ciò che accadde in questa guerra. Fu questa la causa della salvezza dei Romani, e del disastro dei barbari, e non Harnouphis il mago: Marco infatti non è noto per aver apprezzato la compagnia e gli incantamenti dei maghi. Quel che voglio dire è questo. Esisteva un corpo d'armata di Marco (che i Romani chiamano legione) composto di soldati della Melitene, tutti Cristiani. Si dice che nel corso di quella battaglia il prefetto del pretorio, recatosi da Marco, preoccupato per la situazione, che metteva in pericolo l'intero esercito, gli abbia detto che non vi era nulla che quelli che venivano chiamati Cristiani non potessero ottenere con le loro preghiere, e che tra loro vi era un'intera legione composta di questi. Rallegrato da tale informazione, Marco gli chiese di pregare il loro dio, che colpì i nemici con il fulmine e aiutò i Romani con la pioggia; profondamente colpito da ciò, Marco onorò i Cristiani con un editto e diede il nome di Fulminata alla legione. Si dice anche che esista una lettera di Marco su questo argomento. Ma anche i pagani sanno che questa legione si chiama Fulminata, e lo testimoniano essi stessi, ma non indicano la causa per la quale fu così denominata. Dione aggiunge che]


10. Quando la pioggia cominciò a cadere, subito tutti rivolsero il volto in alto e la ricevettero in bocca; poi alcuni alzando gli scudi, altri gli elmi bevvero avidamente e diedero da bere ai cavalli; e che, attaccati dai barbari, bevevano e combattevano allo stesso tempo. Alcuni, feriti, bevevano insieme l'acqua e il sangue che colava nei loro elmi. E avrebbero potuto correre un grave pericolo in seguito all'attacco nemico, poiché la maggior parte di loro era occupata a bere, se una grandine violenta e non pochi fulmini non avessero colpito i nemici. Si poteva vedere l'acqua cadere dal cielo insieme al fuoco, e così gli uni si rinfrescavano e bevevano, gli altri bruciavano e morivano. Il fuoco non toccava i Romani o, se li raggiungeva, si spegneva subito; la pioggia invece non rinfrescava i barbari, ma rinfocolava come olio la fiamma che li colpiva e, benché bagnati, cercavano ancora acqua. Gli uni si ferivano da soli, come per spegnere la fiamma con il sangue, gli altri correvano verso i Romani, che soli sembravano profittare di un'acqua salvatrice: al punto che lo stesso Marco ebbe pietà di loro. Egli venne allora proclamato dai soldati imperator per la settima volta. Benché non fosse solito accettare questo titolo prima che il senato glielo avesse concesso, tuttavia in questo caso lo approvò, poiché inviato dal dio, e scrisse al senato a questo proposito. Quanto a Faustina, fu proclamata Mater castrorum (Madre degli accampamenti).


11. Marco Antonino rimase in Pannonia per accogliere le ambasciate dei barbari. Molti vennero da lui in tale occasione, gli uni per offrire la loro alleanza, comandati da Battarios, ragazzo di dodici anni, i quali ricevettero del denaro e respinsero Tarbos, principe vicino che, entrato in Dacia, chiedeva denaro sotto minaccia di guerra, se non ne avesse ricevuto; gli altri chiedendo la pace, come i Quadi, che l'ottennero, a condizione di separarsi dai Marcomanni: questi consegnarono molti cavalli e buoi, e promisero di restituire tutti i disertori e i prigionieri, in un primo tempo in numero di tre dicimila, e in seguito anche gli altri. Non ottennero però il diritto di partecipare ai mercati in comune, per evitare che i Marcomanni e gli Iazigi, che avevano giurato di non accogliere, impedendogli di attraversare il loro territorio, si mescolassero con essi e, fingendo di essere Quadi, spiassero i Romani e si rifornissero in questi mercati.
Costoro dunque vennero presso Marco, e altri inviarono ambasciatori per sottomettersi, gli uni per stirpi, gli altri per nazioni. Alcuni di loro furono arruolati, e vennero inviati in altre regioni, come anche i prigionieri e i disertori che erano in grado di farlo; altri ricevettero terre, in Dacia, in Pannonia, in Misia e in Germania, o addirittura in Italia. Ma quelli che vennero dedotti a Ravenna si ribellarono, fino al punto di occupare la città. Di conseguenza l'imperatore non inviò più alcun barbaro in Italia, ma spostò altrove quelli che vi erano stati stanziati in precedenza.


12. Gli Astingi, guidati da Rhaos e da Rhaptos, vennero a insediarsi in Dacia, nella speranza di ottenere denaro e terre in cambio dell'alleanza; non avendo ottenuto niente, consegnarono le loro donne e i bambini a Clemente, per andare a conquistare con le armi la terra dei Costoboci: avendoli vinti, nondimeno devastarono la Dacia.
Ma i Lacringi, temendo che Clemente li insediasse nel territorio che essi abitavano, li attaccarono proditoriamente e ottennero una vittoria schiacciante. Così gli Astingi non attaccarono più i Romani e chiesero insistentemente a Marco di dare loro denaro e terra, in cambio di operazioni ostili contro coloro che combattevano contro di lui. Essi tennero in parte fede alle loro promesse, mentre i Cotinii fecero analoghe offerte: ma, accettato come capo Tarrutenio Paterno, segretario per le lettere latine dell'imperatore, facendo mostra di voler attaccare insieme a lui i Marcomanni, non solo non lo fecero, ma gli inflissero tali maltrattamenti che egli in seguito ne morì.


13. Anche gli Iazigi inviarono ambasciatori a Marco, chiedendo la pace, ma non l'ottennero: l'imperatore, cui era nota la loro inaffidabilità, ed era stato ingannato dai Quadi, volle in ogni modo vendicarsi. I Quadi infatti non solo avevano combattuto insieme a quelli nella guerra, ma in precedenza avevano accolto i Marcomanni che, ancora in guerra con Roma, fuggivano presso di loro ogni volta che erano respinti. Inoltre, non avevano portato a termine nessuna delle condizioni cui si erano impegnati, non avevano restituito tutti i prigionieri, ma solo un piccolo numero di essi, quelli che non potevano vendere o sfruttare come operai. Quando poi restituivano alcuni di quelli che erano ancora validi, trattenevano i loro parenti, in modo che anche questi tornassero indietro.
Dopo aver cacciato il loro re Furtios, lo sostituirono con Ariogeso. Per questo l'imperatore non l'accettò, perché non scelto legalmente, e non rinnovò il trattato, benché gli fosse proposta la restituzione di cinquantamila prigionieri.


14. Marco era così infuriato contro Ariogeso, da offrire pubblicamente mille aurei a chi lo avesse consegnato vivo e cinquecento a chi gli avesse mostrato la sua testa dopo averlo ucciso. Eppure, in altre occasioni egli fu sempre umano anche con i nemici più accaniti: invece di far uccidere il satrapo Tiridate, responsabile di torbidi in Armenia, che aveva sgozzato il re degli Enioci e minacciato con la spada Lucio Vero, che lo rimproverava per queste azioni, lo esiliò in Britannia. Ma allora la sua ira contro Ariogeso arrivò al parossismo; quando però questi fu catturato non gli fece alcun male, ma lo esiliò ad Alessandria.


15. Ai Marcomanni che avevano inviato un' ambasceria, poiché avevano realizzato, benché con difficoltà e tardi, tutto quello che era stato loro richiesto, concesse la metà del territorio confinante con il loro, a condizione che si stanziassero a trentotto stadi dall'Istro. Inoltre stabilì i luoghi e i giorni per il commercio (in precedenza infatti non erano fissati) e scambiò ostaggi con loro.


16. Gli Iazigi, maltrattati, vennero per trattare, e lo stesso Zanticos supplicò Antonino. In precedenza avevano imprigionato Banadaspos, il loro secondo re, per aver inviato degli ambasciatori all'imperatore; ma in questo caso vennero tutti i loro maggiorenti con Zanticos e si accordarono alle stesse condizioni dei Quadi e dei Marcomanni, tranne il fatto che dovettero stabilirsi a una distanza doppia dall'Istro.
L'imperatore infatti avrebbe voluto sterminarli completamente, poiché la loro potenza era ancora grande e avevano provocato grandi mali ai Romani, ciò che apparve evidente dal numero dei prigionieri che consegnarono, che ammontava a centomila, nonostante i molti che avevano venduti, e quelli che erano morti o erano fuggiti. Consegnarono subito anche ottomila cavalieri come alleati, cinquemila dei quali furono inviati in Britannia.


17. La rivolta di (Avidio) Cassio e della Siria obbligò malvolentieri Marco a trattare con gli Iazigi: egli fu colpito a tal punto dalla notizia, che non scrisse al senato le ragioni che lo avevano convinto a trattare con essi, come era solito fare nelle altre occasioni.


18. Gli Iazigi inviarono ambascerie per chiedere di mitigare le condizioni che gli erano state imposte. Alcune cose furono loro concesse, per non alienarseli del tutto. Tuttavia né essi né i Burri accettarono di allearsi con i Romani, prima di ricevere da Marco assicurazioni che avrebbe spinto la guerra fino in fondo: infatti temevano che se si fosse alleato con i Quadi, come era già avvenuto in precedenza, li avrebbe esposti a una guerra con i loro vicini.


19. Marco non trattava allo stesso modo tutte le ambascerie dei popoli, ma a seconda che esse meritassero la cittadinanza romana, o l'immunità, o la remissione, perpetua o temporanea, del tributo, o anche un sussidio perpetuo. E poiché gli lazigi gli erano stati molto utili, condonò loro una parte delle condizioni imposte, o addirittura tutte, tranne quelle in rapporto con il diritto di riunione e di commercio, di utilizzare le loro barche e di sbarcare nelle isole dell'Istro. Permise loro anche di commerciare con i Roxolani attraverso la Dacia, se fossero stati autorizzati dal governatore della provincia.


20. I Quadi e i Marcomanni inviarono ambascerie per lamentarsi che i ventimila soldati nelle fortezze stabilite tra loro non gli permettevano di pascolare, di coltivare né di fare altro in sicurezza, ma che accoglievano presso di loro molti disertori e prigionieri, nonostante che vivessero una vita comoda, poiché avevano bagni e tutto il necessario in abbondanza: di conseguenza i Quadi, non sopportando la presenza di fortezze, tentavano di emigrare in massa tra i Semnoni. Ma Antonino, informato delle loro intenzioni, li fermò chiudendo le strade. Così era intenzionato non ad impadronirsi del territorio, ma a vendicarsi di loro.


21. Anche i Naristi, ridotti a mal partito, passarono in tremila dalla parte dei Romani e ottennero terra nel nostro territorio.


32. Tornato a Roma, mentre parlava al popolo, disse tra l'altro che era stato assente per molti anni, e quelli gridarono: "otto", e indicarono con le mani questo numero, al fine di ricevere altrettanti aurei nel congiario. Marco sorrise e disse anche lui: "otto", e in seguito distribuì a ciascuno duecento denarii, cifra superiore a quelle che avevano ricevuto in precedenza.


33. Siccome gli avvenimenti di Scizia di nuovo richiedevano la sua presenza, diede in moglie Crispina a suo figlio prima di quanto avrebbe voluto. I Quintilii infatti, benché fossero due e fossero dotati di molto senno, coraggio ed esperienza, non riuscirono a terminare la guerra, e per questo resero necessaria la partecipazione diretta degli stessi imperatori. Marco chiese al senato di prendere denaro dall' erario: non che questo non fosse a disposizione dell'imperatore, ma perché affermava che esso, come tutto il resto, apparteneva al senato e al popolo: "Noi infatti, disse parlando in senato, non possediamo nulla privatamente, tanto che abitiamo in una casa che vi appartiene". Dicendo questo, lanciò l'asta insanguinata nel suolo nemico, presso il tempio di Bellona, come ho saputo da coloro che erano insieme a lui, e partì per la guerra.
A Paterno affidò un grande esercito, inviandolo alla guerra. I barbari opposero resistenza per un giorno intero, ma alla fine furono tutti tagliati a pezzi dai Romani e Marco fu proclamato imperator per la decima volta. Se fosse vissuto più a lungo, avrebbe conquistato tutto il territorio, ma morì il 17 marzo, non per la malattia di cui allora soffriva, ma per un veleno somministratogli dai medici, che volevano ingraziarsi Commodo, come ho saputo da fonte sicura. 


34. In punto di morte, raccomandò suo figlio ai soldati (non voleva che si attribuisse a lui la sua morte) e al tribuno che gli domandava la parola d'ordine disse: "Vai verso il sole che sorge, perché io sto tramontando". Dopo la morte, ricevette numerosi onori, e una statua d'oro gli fu eretta nello stesso senato.


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