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Le guerre germaniche di Marco Aurelio nel fregio della Colonna Antonina
Parte prima: anni di guerra 172-173 d.C.
La colonna marmorea che sorge al centro dell’omonima piazza venne realizzata tra il 180 d.C., anno della morte dell’imperatore Marco Aurelio, ed il 193 d.C., durante il regno del figlio Commodo. Alta circa trenta metri, è sostenuta da una base costituita da uno zoccolo ed un basamento su cui era incisa l’iscrizione onoraria oggi scomparsa.
Il basamento era decorato da rilievi, andati perduti in occasione del restauro eseguito da Domenico Fontana nel 1589, quando sulla sommità fu collocata la statua bronzea di San Paolo, in luogo dell'originale raffigurante l'imperatore romano. Una scala a chiocciola percorre l'interno, ricevendo illuminazione da piccole feritoie.
Lungo la superficie della Colonna, in un fregio continuo che ne ricopre l'intero fusto, sono narrate le due campagne di guerra condotte da Marco Aurelio contro i Germani (anni 172-173) e contro i Sarmati (anni 174-175), separate dalla personificazione di una Vittoria alata che scrive su uno scudo ovale il trionfo dell'impero romano.
La più antica e nota serie di riproduzioni fotografiche del fregio marmoreo risale al 1896 e venne edita nel volume Die Marcus-Säule auf Piazza Colonna in Rom, a cura di Eugen Petersen, Alfred von Domaszewski e Guglielmo Calderini. In quella pubblicazione venne stabilita la suddivisione del fregio in singole scene (da I a CXVI), adottata successivamente in tutti gli studi di settore.
Le fotografie che seguono sono state riprese nel 1988 dal fotografo romano Pasquale Rizzi per conto della Soprintendenza Archeologica di Roma e mostrano lo stato di conservazione della Colonna a quella data.
Le immagini riproducono nella sua interezza il fregio che inviluppa il fusto in 21 spire, dal basso in alto, in verso sinistrorso. L'inizio delle spire è sull'asse delle feritoie, corrispondente alla porta originale del basamento. I quattro assi delle finestrelle dividono ogni spira in quadranti. Ogni quadrante è rappresentato su 4 fotografie, ogni spira su 16 fotografie. Le fotografie presentano una reciproca sovrapposizione per 1/3 o 1/2 della figura; la sequenza è più lenta in corrispondenza dei guasti e dei rifacimenti.
Accanto a ciascuna serie di immagini è inoltre riprodotta la descrizione delle scene secondo il testo del volume di C. Caprino, A. M. Colini, G. Gatti, M. Pallottino, P. Romanelli, La Colonna di Marco Aurelio illustrata a cura del Comune di Roma (Studi e materiali del Museo dell'Impero Romano, 5, edito a Roma, per i tipi de ‘L'Erma’ di Bretschneider, nel 1955.
Le fotografie dei rilievi sono suddivise in due sezioni: la prima relativa alla campagna degli anni 172-173 d.C., la seconda alla guerra germanica e sarmatica del 174-175 d.C. In una sezione aggiuntiva è fornita la descrizione delle guerre germaniche di Marco Aurelio scritta da Dione Cassio (Storia romana, LXXI, riassunto di Xiphilinus), pubblicata da Filippo Coarelli in La Colonna di Marco Aurelio, Roma, ed. Colombo, 2008.
Francesco Barbazza e Francesco Panini, Veduta del Palazzo di Montecitorio e della colonna di Marco Aurelio a Roma, acquaforte. INASA, Fondo Lanciani, inv. 33586 e Roma XI.61.I.29
Alessandro Specchi, Veduta del Palazzo di Montecitorio e della colonna di Marco Aurelio a Roma, acquaforte. INASA, Fondo Lanciani, inv. 18429 e Roma XI.11.III.20
Scena I: Case, palizzata e corpi di guardia lungo il Danubio
Lungo le rive del Danubio, sul lato esterno di una palizzata che forse chiude il porto di Carnunto, si allineano quattro case. La prima, la seconda e la quarta presentano struttura romana: due sono costruite in pietra, in opera quadrata di tipo isodomo, e coperte da tetti a doppio spiovente di tegole.
Essendo al di fuori della palizzata, le case seconda, terza e quarta sono circondate a loro volta da recinti difensivi costituiti, per le case di tipo romano, da pali appuntiti del tutto simili a quelli del limes. La porta socchiusa del recinto della seconda casa ha un picchiotto a forma di testa leonina. Diversa invece la struttura della terza e del relativo recinto. È di tipo indigeno, rivestita, pare, da strati di canne anche nel tetto a doppio spiovente, e a pianta quadrangolare; il recinto è costituito da pali distanziati tra loro e uniti da traverse orizzontale, e le finestre sono simili a quelle delle case di tipo romano, mentre la porta ad arco è del tipo indigeno, solito nelle case di tal genere raffigurate sulla Colonna.
Alle case seguono accumuli di legname e di canne e fieno raccolti intorno a un palo centrale usati per le segnalazioni a distanza, e tre corpi di guardia con accanto le sentinelle romane rivolte verso il fiume, armate nella destra di lancia, poggiata a terra, e nella sinistra di scudo. I corpi di guardia sono protetti da palizzate muniti di galleria di vedetta, e, dalla finestra di una di queste sporge una stanga creduta dal Petersen un fanale.
Scena II. Traffico fluviale a Carnunto
Sulle sponde del Danubio è un villaggio, Carnunto, il quartier generale dell'imperatore. Sulla banchina del piccolo porto fluviale si ammucchiano botti e forse casse; tre barche colme sono presso alla riva, e in due di esse, la prima e la terza, due soldati romani scaricano o caricano botti.
Una palizzata circonda anche qui l'abitato, che sorprende per i begli edifici: una costruzione con porticato a colonne e pilastri, case costruite in opera quadrata e in cui si aprono numerose finestre, un edificio a due piani. Un albero sorge davanti a uno di essi e cipressi ornano il cortile di un altro, forse non casa privata ma santuario.
Scena III. I Romani passano il Danubio
In una grotta sorge dalle onde del fiume la personificazione del Danubio, barbato e del quale appare solo la parte superiore vista di dorso, ma immaginato evidentemente sdraiato, secondo lo schema iconografico comune alle divinità fluviali; il dio, dall'espressione benigna, con la destra distesa invita l'esercito romano a passare il fiume.
Il passaggio avviene su un ponte stabile, come indicano i due archi che si innalzano all'estremità, sorretto da nove barche e con parapetto. La retroguardia della colonna, in marcia su tre file, è formata da legionari con lorica segmentata sulla tunica, taluni anche con pteryges ed elmi sormontati da pennacchio, gli scudi ovali, lancia e spada appesa sul fianco destro al cingulum. Al centro è l'imperatore (il cui volto è molto danneggiato) vestito di corazza e paludamento, che tiene la lancia nella sinistra abbassata. Al suo fianco sono due ufficiali, di cui uno forse è Pompeiano, genero di Marco Aurelio, e l'altro, irriconoscibile, non ha corazza ma tiene con la destra la lancia.
Il cavallo dell'imperatore, bardato e con ricca sella, è condotto per le redini da una delle tre guardie del corpo che lo seguono. Una di queste veste la lorica hamata (corazza a maglia) e l'altra, che porta anche uno scudo vale, la lorica squamata (corazza a squame); della terza la corazza non è visibile perché è coperta dal cavallo. Tutte e tre hanno elmo con anello di sospensione, portano una specie di sagum e sono armati di lancia. Aprono la marcia altri legionari, due cornicini con corazza a maglia e pelle ferina sul capo, una guardia con corazza a maglia, calzoni e sagum (?), la quale conduce per le redini un cavallo, e un vessillifero, anch'esso con corazza a maglia e il capo coperto dalla pelle ferina.
Il Danubio fu passato per la prima volta dai Romani nel 172 per l'offensiva sul suolo nemico. Secondo il Domaszewski il passaggio dei Romani avvenne a Carnunto (oggi Petronell), secondo lo Gnirs invece a Bratislava (già Presburgo).
Scena IV. «Adlocutio» di Marco Aurelio all'esercito
Su un rialzo roccioso, tra quattro personaggi del seguito, è l'imperatore con lancia e paludamento ma senza corazza. A ogni lato del podio sono due signiferi, con lorica squamata e pelle ferina sul capo, e un portatore di verga ricurva, forse un littore senza fasci; In basso legionari (a sinistra) e guardie del corpo imperiali (a destra) sono volti verso l'imperatore, il quale pronuncia l’adlocutio che precede l'inizio delle operazioni belliche.
Scena V. Marcia dei Romani verso un accampamento stabile
La scena è molto danneggiata. Cavalieri e fanti, con bandiere e insegne, avanzano preceduti da due cavalieri in paludamento, di cui uno potrebbe essere Marco Aurelio, davanti a un castello o un accampamento stabile, costruito in opera quadrata. Questo castello fa pensare allo Zwikker che già prima di iniziare la grande offensiva i Romani avessero fatto questa opera di fortificazione a difesa di una importante strada lungo il fiume Morava (l'antico Marus, affluente del Danubio).
Scena VI. La «lustratio exercitus»
Anche qui la rappresentazione ha subito gravi danni e molti particolari sono stati ricostruiti dal Petersen per il confronto con scene analoghe della colonna Traiana. Pare sia raffigurata la lustratio exercitus, il sacrificio cioè che precede l'inizio della guerra. Nell'accampamento stabile o castello della scena precedente, presso al quale è una sentinella, s’indovina una figura che pare togata, da identificarsi con Marco Aurelio, circondato dal suo seguito. Si sono inoltre riconosciuti gli animali del suovetaurilia, toro, ariete e cinghiale, condotti da camilli, e infine funzionari, vittimari, suonatori di strumenti a fiato, visti attraverso una porta.
Scena VII. I Romani, giunti a un abitato germanico abbandonato, lo distruggono
Dopo la porta della scena VI, il Petersen ha riconosciuto tracce di un Romano semisdraiato in terra con la testa che sparisce nel fondo verso il muro, al quale è appoggiato uno scudo e accanto sta un cavallo. Lo Zwikker non accetta l'interpretazione del Petersen che si tratti di un fuggiasco o di un messaggero, latore di notizie che avrebbero causato la sortita dei cavalieri, dei fanti, dei legionari e delle guardie del corpo che si affrettano verso destra, mentre in alto alcuni osservatori assistono alla scena. Sono state riconosciute dal Petersen anche tracce di un carro da trasporto. Davanti è l'imperatore con la lancia abbassata nella sinistra, il quale osserva, insieme con due del seguito, di cui uno è Pompeiano (?), l'ingresso delle soldatesche nel villaggio abbandonato e la sua distruzione. Case sono incendiate con fiaccole; all'estremità due legionari, di cui uno ha deposto lo scudo, sembrano compiere anch'essi opera di demolizione con il piccone. Accanto a questi pascola un cavallo, evidentemente di un cavaliere romano perché bardato, e sono raffigurate granaglie, le quali accennano chiaramente ha un'azione estiva. Quattro case del villaggio sono a pianta rotonda, mentre la quinta parrebbe quadrata. Sono costruite con tronchi legati a intervalli da intrecci di corde. Dopo la lustratio (scena VI) l'esercito ha oltrepassato il confine dell'impero.
Scena VIII. Germani a cavallo sono condotti alla presenza dell'imperatore
Su un rialzo roccioso, davanti a una grande tenda dell'accampamento romano, il cui vallo è rappresentato in basso, Marco Aurelio, con corazza, paludamento e lancia nella sinistra, circondato da tre del seguito, di cui uno è Pompeiano (?), riceve due Germani su cavalli senza sella e morso, condotti da un vessillifero in corazza a maglia e da altri soldati, evidentemente una vexillatio. Per il fatto che i due barbari sono a cavallo, lo Zwikker non crede con il Petersen e altri che si tratti di prigionieri, ma piuttosto, ipotesi più verosimile, di disertori che chiedano protezione. Cade con ciò anche la supposizione che su di essi incomba lo stesso destino che minaccia più sopra il barbaro per mano di un ufficiale romano che impugna contro di lui la spada, destino al quale cerca di sottrarsi facendo un gesto di invocazione al cielo. Altri due barbari sono stati giustiziati e già sono in terra morti; per la differenza nell'abbigliamento uno dei Germani è da considerarsi di alto rango e l'altro, come pure quello che sta per essere trucidato, di condizione inferiore. I barbari hanno teste dai tratti regolari e barbe che coprono completamente le gote. Le due sentinelle accanto alla tenda sono un restauro, probabilmente indovinato.
Scena IX. L'imperatore legge un ordine alle truppe
Tra Pompeiano (?) e un altro personaggio l'imperatore legge, dall'alto di un rialzo roccioso, da un rotolo un proclama alle truppe, guardie del corpo e legionari, riuniti in basso. Inquadrano la scena vessilliferi e signiferi.
Scena X. Germani difendono il passaggio di un fiume
Alla confluenza di un fiume, nella cui biforcazione è un faggio, sotto una grande quercia, sono quattro Germani di condizione inferiore i quali, armati di fionde e sassi, guardano minacciosi e ostili Marco Aurelio che, sulla sponda opposta, è uscito da un castello fortificato romano e rivolge loro la parola. Accanto all'imperatore è un personaggio del seguito completamente armato e dietro legionari e guardie del corpo, le quali lo proteggono con i loro scudi. Marco Aurelio non porta corazza ma tiene la lancia nella sinistra.
Dall'alto del castello soldati osservano la scena. Il castello è un'altra prova, secondo lo Zwikker, che i Romani avevano preparato l'offensiva anche al di là del Danubio. Per il Domazszewski, essendo questi barbari e quelli della scena seguente Quadi, il fatto si svolge al confine meridionale del territorio di questo popolo, cioè dove il Thaya (Dyje) entra nel Morava. Per lo Gnirs invece si tratta della confluenza dell’Iglawa e dello Schwarzawa (Svratka) che si riuniscono al nord del Thaya, nel quale affluiscono.
Scena XIa. Il «miracolo del fulmine»
Dall'altra parte il castello della scena precedente attaccato da una macchina d'assedio nemico, la quale però, colpita da un fulmine, sta crollando su barbari, in parte già caduti, tutti di condizione inferiore. Marco Aurelio, inerme, assiste alla scena tra guardie del corpo e legionari. Il castello ha una porta chiusa fiancheggiato da mezze colonne. E’ qui raffigurato un episodio tramandatoci nella Vita Marci XXIV, 4 è avvenuto nel 172: l'imperatore, trovandosi in una posizione difficile e incerta, prega gli dei, i quali intervengono in suo favore colpendo e distruggendo con un fulmine il machinamentum. L'atto della preghiera non è rappresentato sul rilievo.
Scena XIb. I Romani pare apprestino un accampamento forse per ingannare il nemico
Giustamente lo Zwikker non crede che la seconda parte della scena sia da mettere in relazione con il miracolo del fulmine, come fa il Petersen. Sulla riva di un fiume dalle sponde rocciose due soldati (uno in alto sopra l'imperatore, l'altro a destra in basso, inclinato) sembrano occupati a misurare con pertiche; in tal caso sono a probabilmente metatores. Non è chiaro cosa faccia un altro soldato (in basso, all'estremità destra): parrebbe stia apprestando con elmo, scudo e lancia una finta sentinella per ingannare i barbari che stanno schierati sull'altra riva per difendere il passaggio, spiando dietro i loro scudi.
Scena XII. Romani e barbari combattono per il possesso di mandrie
La scena è gravemente danneggiata. Da sinistra a destra vediamo prima due Romani dediti al lavoro e pacifici, poi due altri che danno l'assalto, fiancheggiati in alto in basso da due cavalieri; in alto un arciere con l'arco teso ha già scoccato una freccia che sta per colpire un barbaro con scudo, caduto su un ginocchio; un altro è già caduto davanti a lui. In basso un uomo, che per il costume è sempre un barbaro, spinge innanzi un bue verso altri due barbari. In difesa della bestia corre anche un cavaliere nemico, incontro al quale avanza un romano con uno scudo.
Lo Zwikker, che dimostra e sostiene la tesi contraria, cioè la fedeltà cronologica, confuta la ipotesi del Dobiás, ritenendola non dimostrata e conclude che, se veramente si vogliono vedere in questi animali leoni, potrebbe qui essere una seconda volta compiuta la pratica raccomandata dall'oracolo e che, in ogni caso, basare sulla interpretazione di questa scena la tesi che la colonna non si preoccupi della giusta cronologia sia perlomeno precipitoso.
Non credo in vero si possa riconoscere in questa scena l'episodio narrato da Luciano. E’ soprattutto inverosimile, a mio avviso, che i Romani, sia pur fuggevolmente, possano ricordare sulla colonna celebrante le loro vittorie un episodio a cui sia legata una loro disfatta. Perché poi in ogni caso l'artista non avrebbe rappresentato anche la uccisione degli animali da parte dei Germani? Tanto più inverosimile poi è pensare a una ripetizione del genere di sacrificio consigliato da Alessandro, dato specialmente il poco fortunato successo della prima volta. La strana presenza dei due animali rimane oscura e il meglio forse è ritornare all'ipotesi, pur non completamente soddisfacente, dei iubati bisontes del Petersen. In ogni caso questa scena è ben lungi dal costituire una prova di infedeltà cronologica nei rispetti del susseguirsi storico degli eventi, così convincentemente confutata dallo Zwikker.
Scena XIII. L'imperatore sacrifica mentre barche passano un fiume
Presso a un fiume dalle rive rocciose Marco Aurelio, togato e con il capo velato, sacrifica su un tripode per il buon esito del passaggio. Dietro a lui sono i personaggi del seguito, davanti un camillo con l’acerra in mano. Intanto sei soldati passano il fiume su due imbarcazioni, mentre un cavaliere barbaro li spia e un altro si allontana per portare la notizia dello sbarco ai suoi. Nell'acqua, tra le due barche, sorgono le parti anteriori di due animali definiti simili a leoni dal Petersen, il quale però per lo zoccolo fesso (uno degli animali ha già messo una zampa sulla sponda) e il corno, pensa ai iubati bisontes noti a Plinio (N.H. VIII, 15, 38) in Germania. Essendo il rilievo danneggiato, la natura di questi animali non appare chiara dalle fotografie e l'interpretazione della scena forma oggetto di discussione. Il Dobiás li crede leoni e riconnette la scena all'episodio riferito da Luciano (Alexander s. Pseudomantis, 48): il falso profeta Alessandro di Abonotheicos durante la guerra in Germania aveva pronunciato un oracolo per cui due leoni dovevano essere stati gettati vivi nel Danubio con droghe e doni votivi allo scopo di ottenere vittoria e pace; ma le belve, passato il fiume, furono uccisi dai barbari e i Romani poco dopo subirono una grande sconfitta. Datando l'avvenimento al 166 o al 169, il Dobiás è costretto ad ammettere con altri che sulla colonna la sequenza delle scene non sia cronologicamente giusta e che quindi vi sarebbero rappresentati episodi caratteristici senza preoccupazione di ordine nel susseguirsi degli avvenimenti. Lo Zwikker, che dimostra e sostiene la tesi contraria, cioè la fedeltà cronologica, confuta la ipotesi del Dobiás, ritenendola non dimostrata e conclude che, se veramente si vogliono vedere in questi animali leoni, potrebbe qui essere una seconda volta compiuta la pratica raccomandata dall'oracolo e che, in ogni caso, basare sulla interpretazione di questa scena la tesi che la colonna non si preoccupi della giusta cronologia sia perlomeno precipitoso. Non credo in vero si possa riconoscere in questa scena l'episodio narrato da Luciano. E’ soprattutto inverosimile, a mio avviso, che i Romani, sia pur fuggevolmente, possano ricordare sulla colonna celebrante le loro vittorie un episodio a cui sia legata una loro disfatta. Perché poi in ogni caso l'artista non avrebbe rappresentato anche la uccisione degli animali da parte dei Germani? Tanto più inverosimile poi è pensare a una ripetizione del genere di sacrificio consigliato da Alessandro, dato specialmente il poco fortunato successo della prima volta. La strana presenza dei due animali rimane oscura e il meglio forse è ritornare all'ipotesi, pur non completamente soddisfacente, dei iubati bisontes del Petersen. In ogni caso questa scena è ben lungi dal costituire una prova di infedeltà cronologica nei rispetti del susseguirsi storico degli eventi, così convincentemente confutata dallo Zwikker.
Scena XIV. Marco Aurelio osserva la marcia della cavalleria in una regione montuosa
Scena molto deteriorata. Seduto sulla sella castrensis, dall'alto di una tribuna di legno, sotto la quale sono militari, l'imperatore, con tre personaggi del seguito di cui uno armato di lancia, sta a guardare la marcia dei cavalieri romani tra i monti svolgentesi a destra: questa parte del rilievo ha subito restauri e rielaborazioni moderne.
Scena XV. Continuazione della marcia tra i monti e combattimenti
Guardie del corpo e legionari, di cui uno con elmo ornato da grifo, escono dai monti; nella parte superiore arcieri orientali della milizia ausiliaria assalgono da due lati barbari di condizione inferiore armati di lance e scudi, mentre un altro barbaro, anch'esso di bassa condizione, fugge a cavallo verso sinistra: forse un messaggero. In basso è l'imperatore, vestito di paludamento e armato di lancia nella sinistra, con affianco Pompeiano (?) e un secondo personaggio più giovane. Il suo cavallo è tenuto per le briglie da una guardia del corpo.
Scena XVI. Il miracolo della pioggia nel paese dei Quadi
Uscito da un accampamento, indicato con una tenda, l'esercito in marcia nella formazione dell’agmen quadratum si è arrestato. In basso è la fanteria, tra cui un generale, certamente non Marco Aurelio. In alto sono tre buoi, dei quali uno è morto; accanto a questi un soldato, con mano e sguardo rivolti verso il cielo, forse invoca la pioggia che più oltre scende abbondantemente a ristorare e rinfrescare l'esercito romano esausto, dispensata da un benevolo dio barbato e con braccia e ali spiegate. Presso un carro, che porta una balista e tirato da muli, un soldato abbevera un cavallo, un altro con il volto sollevato pare si disseti, mentre altri ancora si riparano con gli scudi sul capo dalla pioggia torrenziale.
La pioggia, benefica per i Romani, è stata fatale e rovinosa per i barbari; ai soldati ripostisi in marcia si presenta uno spettacolo di morte e di devastazione: cavalli affogati o in lotta con le acque e Germani di condizione elevata e inferiore che giacciono morti, mentre le loro armi, trascinate dalle acque, sono ammucchiate in un angolo.
La scena rappresenta il miracolo della pioggia che la tradizione più tarda cristiana attribuiva all'intervento delle preghiere di soldati cristiani, la cui legione avrebbe preso il nome di keraunobólos, fulminata. Una legione di tal nome esisteva però fin dai tempi di Augusto. La pioggia porta salvezza ai Romani assetati e rovina ai Quadi. L'avvenimento è posto da Dione Cassio durante la VII acclamatio imperatoria, cioè nel 174, ma altre fonti danno altri elementi di cronologia: Girolamo nella Cronaca di Eusebio e la epitome Chronicon Prosperi Tironis al 171. Si può però affermare che il miracolo avvenne con tutta probabilità nel 172, pur non potendosi escludere il 173. In contrasto con Dione Cassio, dalla Cronaca di Eusebio, confermata dalla Vita Marci, appare che Marco non era presente al miracolo, ma Pertinace; perciò il generale rappresentato nella scena deve essere identificato con questi.
Scena XVII. Marco Aurelio riceve la sottomissione di Germani
Su un rialzo roccioso, tra il suo seguito, l'imperatore riceve l'omaggio di un principe germanico che si inchina a baciargli la destra. In basso, in un pittoresco e vivace gruppo, sono raccolti i Germani, tra cui donne e numerosi bambini; poiché due di questi con gesto pauroso si stringono ai genitori, il Petersen pensa debbano essere consegnati come ostaggi. Le donne sono vestite di una lunga tunica senza maniche, cintata in alto e che forma uno sbuffo, sopra la quale portano un camice con maniche lunghe; hanno i capelli sciolti sulle spalle e talune il capo coperto da un panno. I bimbi vestono lo stesso costume dei genitori. In alto sono soldati romani con due vessilli. Lo Zwikker osserva che non si può stabilire se la scena rappresenti una parziale sottomissione, conseguenza della pioggia miracolosa.
Scena XVIII. Combattimento intorno a una casa germanica
La scena, non chiara per la cattiva conservazione, i restauri moderni e le rielaborazioni, è stata così ricostruita dal Petersen: al centro è una casa germanica a pianta quadrata, costruita con tronchi d'albero legati da corde intrecciate e forse innalzata su un basamento o su gradini, quindi probabilmente la casa di un principe. davanti erano forse due persone. Intorno si svolge un combattimento: a sinistra, in alto, un barbaro, inseguito da un romano con la lancia nella destra e lo scudo all'altro braccio, fugge verso sinistra, dove, come sembra, un altro Romano, pure con scudo e lancia, avanza conducendo un cavallo sotto il quale giace un avversario caduto; un altro barbaro caduto è dietro a un cavallo in corsa.
A destra della casa un barbaro gigantesco con scudo e spada affronta un cavaliere romano e un altro seduto sotto una quercia è assalito da tre romani; più in basso un cavaliere nemico è afferrato da un Romano e un altro è già caduto sotto il cavallo in fuga; accanto a lui è forse lo scudo, sul quale sono incise le lettere moderne P. M.
Scena XIX. Fuga di un principe Germanico e cattura di una principessa
Due cavalieri e dei legionari si lanciano all'assalto scontrandosi con tre barbari armati di scudo e lancia, forse tutti e tre di bassa condizione; uno ha la lunga barba a punta rivolta verso l'alto, un altro è sbarbato e il terzo ha la barba corta e rotonda come gli altri Germani raffigurati sulla Colonna. Dietro a loro sono altri barbari caduti, pure di condizione inferiore, morti forse per proteggere la fuga del loro principe (?) che si allontana al galoppo su un cavallo, sotto le cui zampe è accosciato un barbaro con lo scudo sulla testa; in alto legionari e guardie del corpo con vessilli guardano verso il fuggitivo.
Sopra a questi, in piedi davanti alla tenda guardata da due soldati, Marco Aurelio, con la lancia, ma senza corazza, tra Pompeiano (?) e un altro personaggio del seguito, osserva allontanarsi verso sinistra un carro tirato da buoi e guidato da un romano, sul quale è una donna prigioniera, forse una principessa, di stirpe germanica, con il capo velato da un mantello; davanti a lei sta chino in atteggiamento prostrato un Germano di condizione inferiore.
Scena XX. Distruzione di un villaggio
Guardie del corpo e cavalieri partono dall'accampamento verso un villaggio debolmente difeso dai barbari, per distruggerlo. La scena è molto complessa e movimentata. In basso un barbaro di condizione inferiore con scudo e spada affronta un cavaliere; dietro a lui un pretoriano, dopo aver decapitato un avversario, sta per uccidere un altro già caduto. In alto altri due barbari di bassa condizione accorrono verso una casa incendiata dalla soldatesca, dalla quale fugge, disperato, un barbaro di alto rango. Di là dalle case, in basso, un nemico riccamente vestito e calzato sta per essere trucidato dalla lancia di un Romano, mentre una donna, forse sua moglie, fugge verso destra tenendo per mano un bimbo; dietro al lei un barbaro di bassa condizione è caduto in terra bocconi. Superiormente uno di condizione elevata, dalla lunga barba a punta rivolta in alto, solleva in atto di implorazione le braccia al cielo perché allontani la morte che incombe alle spalle per mano di un Romano. Davanti a due abitazioni l'imperatore, vestito del paludamento, con accanto il suo seguito e il cavallo, assiste all'uccisione di un barbaro inginocchiato. In alto sono un vessillifero e un barbaro di alto lignaggio che fugge dalla sua casa incendiata da un soldato; accanto a questa un cavaliere presso il suo cavallo in atteggiamento stanco per la marcia, e sotto un pretoriano che dà colpi di piccone su un tronco d'albero. Le case sono costruite come quelle della scena VII con tronchi di legno uniti da corde intrecciate. Alcune sono rotonde, altre quasi rettangolari; talvolta hanno basamenti; le porte, per lo più aperte, sono rettangolari; solo l'ultima casa ha la porta arrotondata superiormente e una cappa.
Scena XXI. Prigionieri sono condotti alla presenza dell'imperatore
Marco Aurelio è davanti a due alloggiamenti stabili molto ricchi; innanzi a lui è un personaggio e dietro un altro, forse Pertinace, con corazza, elmo e lancia; in basso a destra ausiliari in corazza a maglia (uno ha scudo rettangolare invece che ovale) conducono un Germano con le mani legate davanti, di alto rango, e una donna, sua moglie, vestita di un lungo abito, seguita da per lo meno due soldati; in alto altri ausiliari scortano due buoi catturati.
Scena XXII. Marco Aurelio parlamenta con Germani che stanno al di là di un fiume
L'imperatore, con corazza e paludamento, fra tre personaggi del seguito, è in colloquio con alcuni Germani che stanno sulla riva opposta di un fiume vorticoso dalle sponde rocciose, accanto al quale nascono spighe di grano. Siamo perciò in estate. Alcuni Germani sono di condizione elevata, altri di bassa. Il loro comportamento è amichevole e di invito a passare il fiume nel loro territorio. Sotto l'imperatore sono tracce di un soldato con scudo, lancia e spada.
Scena XXIII. Romani e Germani alleati combattono contro altri barbari
In questa scena assistiamo alle conseguenze dell'amichevole colloquio della scena precedente tra Marco Aurelio e i Germani. Romani e Germani combattono fianco a fianco contro un comune nemico che assalgono ai due lati. Alcuni barbari nemici sono caduti in terra dai loro cavalli al galoppo; altri fuggono a cavallo. I Germani alleati dei Romani sono del tipo già noto dalle scene precedenti, mentre la maggior parte dei barbari contro i quali si svolgono le ostilità, pur non differendo nell'abbigliamento e nelle armi, per il diverso modo di combattere e per le teste (quelle poche meglio conservate) simili nel tipo a quelle della scena XXXIX, fanno pensare a un'altra stirpe, sarmatica secondo il Petersen, mentre lo Zwikker dubita che possano essere non Germani.
Scena XXIV. I Romani respingono un attacco alle spalle
Un nuovo popolo, caratterizzato da berretti conici, assale alle spalle i Romani che marciano in direzione opposta alla solita. I barbari, tutti di condizione elevata, sono a cavallo e in parte armati di scudo e lancia. Salvo per i berretti, non differiscono dal solito tipo di Germani finora incontrati.
Scena XXV. Barbari dal berretto conico sono condotti prigionieri davanti a Marco Aurelio
Due barbari della stessa stirpe della scena precedente sono condotti prigionieri con le mani legate dietro al dorso davanti all'imperatore che ha corazza e lancia e al cui fianco è un personaggio del seguito. Intanto la marcia, interrotta dall'assalto, prosegue. Guardie camminano accanto a un carro carico di armi e botti e tirato da muli; di un altro carro, a causa della finestra, sono raffigurati solo i due buoi.
Scena XXVI. Marco Aurelio si consulta con lo Stato Maggiore
L'imperatore, con il rotolo nella sinistra, sta fra tre personaggi del seguito e tre soldati, due dei quali tengono per le redini i cavalli. Superiormente un carro carico di armi e tirato da muli procede in direzione opposta alla solita, da destra a sinistra.
Scena XXVII. Marco Aurelio in marcia con il suo seguito
L'imperatore, vestito di corazza e paludamento, cavalca per un'altura con a fianco un ufficiale completamente armato, forse Pertinace, e seguito da pretoriani a cavallo. Altri pretoriani a piedi uccidono in combattimento Germani, tutti di rango elevato: un barbaro, ucciso da un Romano, precipita in basso presso a un altro Germano seduto che un pretoriano sta per trucidare, probabilmente dopo aver già ucciso un altro caduto dietro di lui. Lo Zwikker non condivide l'ipotesi del Petersen che sia rappresentato il forzamento di un passo montano e poiché la cavalcata avviene nella stessa direzione della scena precedente suppone, con riserve, che forse questa scena preceda cronologicamente la XXVI.
Scena XXVIII. I Romani passano un fiume vincendo la resistenza nemica
Soldati romani passano un fiume su due imbarcazioni; in quella inferiore, oltre alle armi, è un soldato che sta per sbarcare dietro a due arcieri orientali della milizia ausiliaria ai quali ordina di scagliare frecce contro un cavaliere barbaro armato di spada e scudo che fugge. Sopra è tutto restauro moderno, ma da tracce il Petersen ha potuto riconoscere che nella barca erano altri due Romani pronti a sbarcare; ha poi osservato anche gambe di un cavallo e di un cavaliere barbaro (il restauratore ne ha raffigurato senza ragione due) respinto verso altri due cavalieri barbari che giungono al galoppo per opporsi allo sbarco. Tutti i cavalieri sono di condizione inferiore e armati. Sembrano Germani. Chiude la scena in basso un carro tirato da muli e carico di armi che va verso l'accampamento stabile rappresentato nella scena seguente.
Scena XXIX. Traghetto di un fiume
In alto è un accampamento stabile, forse un castello, in opera quadrata. Due sentinelle stanno a guardia della porta chiusa. Il Petersen immagina che davanti al castello l'imperatore stia compiendo un sacrificio, ma i gravi danni subiti dal rilievo e i restauri rendono molto incerta questa ipotesi. Davanti al castello soldati con corazza a maglia, in due file, passano un fiume su un ponte di barche senza parapetto. Uno conduce un cavallo. L'avanguardia ha uno scontro con il nemico. In alto un barbaro con scudo rotondo brandisce una spada, mentre un Romano lo colpisce con la lancia nel dorso. In basso un cavaliere è messo in fuga da un Romano e sotto il suo cavallo è un barbaro caduto sul volto. Un pretoriano sta colpendo un nemico inerme seduto in terra. Lo Zwikker suppone che siamo di nuovo presso al Danubio in territorio sotto l'influsso permanente romano e che abbiano avuto termine le operazioni nell'interno del paese nemico.
Scena XXX. Marco Aurelio sacrifica e l'esercito passa un fiume su un ponte di barche
In basso si svolge la marcia delle guardie del corpo, tra cui è un legionario, su un ponte di barche simile a quello della scena XXIX. La presenza di un cornicen fa supporre al Petersen che questo corteo faccia parte di quello del sacrificio che si svolge nella fila superiore in senso opposto. Questa ipotesi non è, secondo lo Zwikker, dimostrabile. In alto avanzano da destra a sinistra un soldato, due vittimari, uno con scure e l'altro con coltello, che conducono l'ariete e il toro (il cinghiale è tralasciato) per il sacrificio compiuto dall'imperatore, e in testa un tubicen. Accanto a lui è un vecchio vestito di chitone e himation, che il Petersen suppone sia uno degli amici filosofi di Marco Aurelio; e dietro un Camillo con l’acerra, la cassetta degli incensi, e tre guardie di cui una cavallo.
Scena XXXI. Marco Aurelio e due principi germanici stringono un patto
La scena si svolge in un accampamento romano, il cui vallo è schematicamente tracciato a destra. Inferiormente sono due tende, davanti alle quali montano la guardia due soldati; in alto, su un piano roccioso, l'imperatore, seguito da due personaggi, e in piedi davanti a lui due Germani di elevata condizione condotti alla sua presenza da una guardia del corpo. Marco Aurelio e il barbaro avanti compiono gli stessi gesti: la mano sinistra tiene un lembo del vestito e la destra ha due dita, l'indice il medio, distese e le altre piegate; anche il secondo Germano, che ha il braccio alzato ma nascosto, forse è immaginato nello stesso atteggiamento. I barbari evidentemente fanno una promessa solenne o un voto all'imperatore in forma germanica. Con l’afferrare un lembo della loro veste forse indicano il voler dare in pegno della parola data le loro persone e i loro averi; l’atto corrispondente di Marco significherebbe l'accettazione della promessa.
Scena XXXII. Inizio e arresto di una marcia
Guardie del corpo e legionari in due file si pongono in marcia, ma questa si arresta, sia in alto che in basso, presso all'imperatore, il quale, con il rotolo della sinistra, sta in piedi tra due personaggi del seguito.
Scena XXXIII. Marcia verso un fiume con l'imperatore alla testa
Anche qui legionari e guardie, di cui alcune conducono un cavallo, marciano affrettatamente in due file, preceduti da Marco Aurelio e da un personaggio del seguito, i quali a cavallo hanno raggiunto un fiume. Il Petersen giustamente nota il disordine della scena, la irregolarità della distribuzione delle figure e alcune stranezze, come la mescolanza di insegne, vessilli, suonatori di strumenti a fiato, fanti e cavalieri appiedati e inoltre la presenza di un legionario suonatore di corno e i calzoni dati a tutti i legionari.
Scena XXXIV. Soldati romani passano un fiume in barca
Solo la prima parte della scena è antica, il resto tutto restauro moderno: in quella, su un fiume senza indicazione di rive, si vedono due barche occupate da soldati romani. Nella superiore stanno tre legionari, anche questi con calzoni, pronti all'attacco; nell’inferiore tre soldati con corazze differenti: la segmentata, la squamata e la hamata. Nella parte che è restauro moderno sono rappresentati un'altra barca e uno scontro con barbari a cavallo.
Scena XXXV. Soldati romani in marcia
Guardie, guidate dall'imperatore che ha il rotolo in mano ed è seguito da un personaggio, marciano in direzione opposta alla solita, da destra a sinistra. Dietro a Marco Aurelio è un carro guidato da due soldati e tirato, pare, da muli. Sotto a questo un barbaro di bassa condizione, cavallo, è trucidato da una guardia. Il rilievo ha subito alcuni restauri: la parte superiore dell'imperatore e del personaggio del seguito, del quale è rilavorata anche la mano sinistra con il panneggio, e quasi tutto il primo soldato in basso, del quale è antica solo una parte della gamba.
Scena XXXVI. Soldati romani in marcia
Il rilievo è molto danneggiato. Legionari, guardie e un cavallo con gualdrappa marciano verso destra.
Scena XXXVII. Marco Aurelio assiste alla ripresa della marcia dell'esercito
Su un podio davanti alle tende dell'accampamento l'imperatore tra Pompeiano (?) e un altro personaggio, assiste alla prosecuzione della marcia. Uno dei soldati conduce un cavallo, un altro è in cornicen con pelle ferina sul capo, due sono vessilliferi. Sotto la feritoia (a sinistra) sono raffigurate armi.
Scena XXXVIII. Continuazione e arresto della marcia
Guardie del corpo e un carro tirato da asini e pieno di armi procedono in due file verso l'imperatore che ha il rotolo della sinistra e la destra tesa; accanto a lui sono due vessilliferi. In basso, sotto Marco Aurelio, è un cavallo da sella con gualdrappa condotto da un Pretoriano.
Scena XXXIX. L'imperatore raggiungere l'accampamento e l'esercito respinge un assalto nemico
Marco Aurelio appare al principio di questa scena in atteggiamento molto simile a quello della precedente, ma invertito, poiché guarda verso sinistra, come rivolto verso l'altro se stesso della scena XXXVIII. Invece del rotolo tiene però con la sinistra un lembo del mantello. Sta davanti a una tenda e dietro a lui sono un personaggio del seguito, un legionario e anche qui un carro tirato da asini e carico di armi che entra nell’accampamento. Un altro carro con asini preceduto da un legionario è in basso.
Nella seconda parte della scena è la truppa, in alto arcieri orientali della milizia ausiliaria e in basso legionari, i quali marciano in direzione opposta, verso destra, per respingere l'assalto alle spalle di cavalieri barbari che fuggono. Uno di questi è stato colpito nel petto da una freccia romana. I barbari hanno volto magro e largo e barba solo nel mento. Si tratta dello stesso popolo incontrato nella scena XXXII e che il Petersen considera Sarmati, identificazione che lo Zwikker non crede certa.
Scena XL. Barbari implorano grazia dall'imperatore
Tutta la scena dopo la frattura è restauro moderno e rappresenta una battaglia davanti alla porta di una città. Nella parte antica conservata vediamo barbari dello stesso tipo della scena precedente, i quali chiedono grazia con le mani protese, il volto dall'espressione patetica e implorante alzato verso Marco Aurelio. L'imperatore doveva essere seduto e non, come il restauro moderno ha immaginato, in piedi. Il barbaro più in alto è inginocchiato e quello in basso sta per compiere lo stesso gesto. Ambedue portano il solito costume dei barbari di alto rango, ma tunica e mantello sono più corti e frangiati. Poiché gli ausiliari romani che circondano la scena presentano tratti fisionomici simili a quelli dei barbari, lo Zwikker si domanda se anche il differente aspetto di questi ultimi non sia dovuto piuttosto all'esecuzione artistica che a una differenza razziale.
Scena XLI. Sottomissione di un principe germanico
L'imperatore, seguito da due personaggi, è rivolto verso un barbaro, facendo con la mano destra il gesto di parlare e tenendo con la sinistra il rotolo. Il barbaro, evidentemente un principe germanico, con abiti frangiati come i due che lo accompagnano, tiene la destra sul petto e inchina la testa in atto di sottomissione. In basso sono guardie del corpo con lance.
Scena XLIIa. Cerimonia nell'accampamento romano
Il significato della scena, che è anche molto danneggiata, non è chiaro. Su un'altura quattro personaggi romani seduti osservano l'azione che si svolge in basso. In mezzo l’imperatore, con corazza frangiata, paludamento, e il rotolo nella sinistra, tocca con la mano destra la spalla di un uomo calvo; questi sta a un livello più basso e a sua volta pone le dita della destra sulla fronte di un giovane seduto su un masso, il quale pare circondi con le braccia le ginocchia di Marco Aurelio. L'uomo in piedi è un Romano, porta calzoni corti e tiene un rotolo nella sinistra; il giovane seduto porta corazza a squame o a maglia e ha lo scudo appoggiato al sasso.
Il legame tra questa parte della scena e la seguente è dubbio e non si può escludere con il Domaszewski che si tratti di due episodi differenti.
Scena XLIIb. Arrivo o partenza di una ambasceria
Sono rappresentate tre lettighe, le une sopra le altre. Dalla finestra tagliata nella stoffa di ciascuna di esse guarda fuori un Romano barbato, verso il quale è rivolto un uomo vestito di corta tunica e mantello frangiato. Questi tre personaggi accanto alle lettighe e il quarto in piedi presso la lettiga inferiore sono creduti dal Petersen Romani e da Domaszewski Germani. La terza lettiga in alto è quasi completamente restauro moderno.
Per la prima parte della scena il Petersen nota una somiglianza con l'atto della manumissio di uno schiavo e pensa a un padre che tocchi con la mano il figlio in segno della potestas, mentre l'imperatore, al quale il giovane offre se stesso, intercederebbe presso di lui; interpreta la seconda parte con le lettighe come una ambasceria del senato. Il Domaszewski invece crede si tratti di una scena di giudizio, in cui il Romano accusato chiede aiuto a Marco Aurelio, il quale dispone per la grazia; il personaggio in piedi sarebbe l'accusatore e i quattro seduti in alto costituirebbero il consilium dell'imperatore.
I tre romani in portantina, sempre secondo il Domaszewski, devono essere messaggeri romani inviati da Marco Aurelio al Senato per comunicare le sue trattative con i barbari; il fatto che i Germani parlino loro al momento della partenza indicherebbe che il trattato della scena XLI sarà completamente valido solo dopo la ratifica del Senato. Ma l'episodio precedente con il giovane seduto, interposto fra la scena XLI e la metà destra della scena XLII, mi pare escluda un nesso fra la sottomissione del principe germanico e l'ambasceria.
Scena XLIII. I Romani assalgono un abitato germanico
Davanti a due abitazioni indigene rotonde, con tetto a cupola e costruite allo stesso modo delle altre case di questo tipo già incontrate, guardie a piedi e a cavallo assalgono alcuni Germani di alto lignaggio, forse componenti della stessa famiglia. Un Germano si difende con la spada e lo scudo dall'assalto, un altro (la parte superiore è di restauro), con la destra alzata sul tetto della seconda casa, è minacciato dalla lancia di una guardia e, dall'altro, da quelle di altri due; una donna fugge dalla casa, ma un cavaliere sta per colpirla con la lancia; a sinistra un giovane presso un albero fugge inseguito da un cavaliere.
Scena XLIV. Romani in marcia
Fanti, guardia del corpo e legionari in alto, e cavalieri in basso marciano affrettatamente verso destra, avendo probabilmente come meta il quartier generale.
Scena XLV. L'imperatore si consulta con lo Stato Maggiore sulla resa dei Germani
Marco Aurelio è fra quattro personaggi del seguito, tenendo nella sinistra il rotolo e la destra protesa. Gli accompagnatori stanno parlando, come indicano le bocche aperte; uno tiene un rotolo nella mano. Si tiene evidentemente consiglio nei riguardi di alcuni barbari, probabilmente Germani, che, fuggiti nel canneto di una palude, si arrendono. Intorno al gruppo dell'imperatore degli accompagnatori sono, sopra e sotto, guardie del corpo.
Scena XLVI. Distruzione di un villaggio
Due case quadrangolari, simili per tecnica costruttiva alle altre case indigene, sono incendiate da sei pretoriani. Vicino sono buoi. Più a destra un barbaro con la lunga barba chiede grazia in ginocchio a un soldato che forse l’afferra per l'orecchio, come più in alto un altro Romano fa a un secondo barbaro anch'esso implorante salvezza. Quest'ultimo è tenuto per il braccio da una delle due donne presenti, probabilmente mogli dei due barbari. Queste hanno capelli corti e tenuti da un cercine e sono vestite di camice e lunga tunica cintata; una porta anche un corto mantelletto.
Scena XLVII. Barbari fuggitivi
Questa scena può considerarsi un tutto con la precedente e non sembra necessaria una divisione in due episodi. Due giovani con berretto ornato di pennacchio tentano fuggire a cavallo. Uno è in gran parte restauro moderno, e moderno è pure tutto il resto delle rilievo con scena di battaglia.
Scena XLVIII. Inseguimento di barbari in una palude
Su un rialzo (rielaborato modernamente), Marco Aurelio con due personaggi del seguito assiste all'incendio e alla distruzione di un canneto, nel quale si sono rifugiati cavalieri barbari uccisi da fanti e cavalieri romani lanciatisi all'inseguimento nella palude. I danni subiti dal rilievo non permettono di conoscere quale stirpe di barbari sia qui annientata.
Scena XLIXa. L'imperatore riceve un'ambasceria
Davanti a un grande edificio in opera quadrata, presso il quale è a destra una tenda, sta in piedi su un podio Marco Aurelio con due personaggi del seguito. Dietro a lui sono guardie del corpo e anche (il primo a sinistra in basso) un Germano. L'imperatore riceve una ambasceria di barbari inermi e di condizione elevata. Tre di questi hanno berretti frigi e sono probabilmente orientali; chinandosi protendono le mani coperte dai mantelli per chiedere grazia o più probabilmente fare atto di omaggio. Altri quattro hanno berretti a tronco di cono o di piramide. Non è possibile stabilire che popoli siano.
Scena XLIXb. Marcia di barbari scortati da Romani
Questa scena è considerata dal Petersen un tutto con la precedente ma sembra costituire piuttosto una scena a sé. Tre Germani a piedi e con scudi e tre a cavallo camminano seguiti e guidati dalla truppa romana che esce da un castello stabile costruito in opera quadrata con porta ad arco e a pannelli in una regione boscosa, come indicano le querce. Nel castello sono soldati. Siamo dunque di nuovo in territorio di influenza romana.
Scena L. Sortita vittoriosa di un presidio romano
Da un altro castello simile al precedente, nella stessa regione boscosa della scena XLIXB, escono procedendo in senso opposto pretoriani e ausiliari a piedi a cavallo. Anche qui nel castello sono soldati con scudo e lancia. In alto, tra gli alberi, e forse invisibili ai Romani, sono due cavalieri barbari fuggiti od osservatori. I Romani hanno assalito e decimato i Germani che sono armati di scudi rotondi ed esagonali. Alcuni di questi sono caduti in terra, altri si difendono ancora. Uno ha il capo cinto da una benda.
Scena LI. Colloquio dell'imperatore con un principe (?) germanico
Tra il suo seguito e circondato da guardie del corpo di cui due tengono per le redini cavalli, Marco Aurelio, con il rotolo della sinistra, riceve un principe (?) germanico che con un altro Germano che gli tiene il cavallo è venuto a salutarlo da pari.
Scena LII. Combattimento
Fanti e cavalieri romani assalgono vittoriosamente barbari che al Petersen sembrano Sarmati e allo Zwikker Germani (la conservazione è cattiva). Un Barbaro è caduto, un altro si difende con scudo e spada, altri due sembrano mostrare sentimenti pacifici.
Scena LIII. Sottomissione (?) di barbari
Il rilievo ha subito gravi danni. In alto è Marco Aurelio con il rotolo nella sinistra e forse un altro oggetto nella destra. Al suo fianco sono due del seguito e tre vessilliferi; in basso, a sinistra, due guardie del corpo; al centro sotto l'imperatore un barbaro inginocchiato e altri tre inchinati verso di lui. La cattiva conservazione non permette riconoscere il tipo dei barbari rappresentati. Lo Zwikker, per la posizione dei barbari affrontati, non ritiene con il Petersen che sia una scena di sottomissione.
Scena LIV. Assalto di una fortificazione germanica
Soldati romani, formata con gli scudi la testudo, assalgono una fortificazione costruita con assi di legno posti trasversalmente e legati con corde. Gli assediati gettano dall'alto fiaccole, ruote, spade, pietre e un recipiente con liquido. Fanti e cavalieri romani si lanciano all'assalto da sinistra; altri due cavalieri sono a destra osservando la scena. Forse i barbari assaliti sono i Marcomanni, i quali furono sottomessi nel 172.
Scena LV. «Adlocutio» di Marco Aurelio alle truppe
Terminate vittoriosamente le operazioni di due anni di guerra (172-173), l'imperatore rivolge dall'alto del suggestus l’adlocutio alle truppe schierate con le insegne: quelle della cavalleria costituite da vessilli, quelle delle coorti e dei manipoli con la mano aperta e quelle delle legioni sormontate dall'aquila. Le insegne con le mani aperte e con le aquile sono fregiate da phalerae con busti e da corone murali. Marco Aurelio tiene con le mani il rotolo aperto e ha al suo fianco due personaggi del seguito; ai piedi della tribuna sono a destra due littori con fasci, e forse littori, pur non avendo i Fasci sono anche i due personaggi a sinistra.
La vittoria
Fra trofei e armi la vittoria alata scrive su uno scudo ovale il trionfo romano. Essa separa nettamente i due anni di guerra 172-173 illustrati finora dagli anni 174-175 raffigurati nelle scene seguenti. A destra è un trofeo di un Romano, a sinistra di un barbaro dal vestito peloso.